Il nostro angolo Spettacoli

Recensione dello spettacolo “Il giorno della memoria – Dai bambini di Terezin al Diario di Anna Frank”

di Carolina Stefani  5A PNI

Flashback – 27 Gennaio, ore 9.30 – Giordano Bruno

Cinque minuti dopo il suo arrivo in classe, la prof di italiano ci propone di andare domenica sera al Teatro Carlo Goldoni, per vedere uno spettacolo sulla Shoah «È molto interessante, sicuramente originale… mi dispiace solo non potervi accompagnare!». Mormorii scettici passano tra i banchi. È inutile negarlo: i giovani (la maggior parte almeno) non sono troppo attirati da tali espressioni artistiche, e se vanno a teatro solitamente capita di mattina, per vedere qualche spettacolo in inglese (questo è quello che è successo alla nostra classe negli ultimi 5 anni). Ma perché non provare, dopotutto? Nella peggiore delle ipotesi, ci saremmo fatti un giro a Venezia, “by night”.

Domenica 29 Gennaio, ore 19.30 – Piazzale Roma

Siamo ormai una decina, siamo infreddoliti e stiamo aspettando i soliti ritardatari. «Oh andiamo, sto congelando!» dice L. «speriamo solo di non arrivare in ritardo allo spettacolo!»

«Alla buon’ora!». Anche A. è arrivato, consentendoci di partire. Ormai siamo costretti a correre: su e giù per i ponti, sprezzanti dell’aria fredda che ci sferza il viso; ancora non sapevamo che non sarebbe stato quello il più grande gelo provato durante la serata. Finalmente arriviamo alla nostra meta (Teatro C. Goldoni), la platea è già piena e siamo fortunati a trovare ancora posto; non si vedono altre classi (e neppure coetanei!)… che sia un cattivo presagio?

Alle 20.00 precise calano le luci; entra l’orchestra, accolta da un applauso che rompe il silenzio. Inizia lo spettacolo.

Dopo una breve introduzione, sia in italiano che in inglese, sbucano dalle quinte due giovani attori: la scena è allestita in modo piuttosto singolare, infatti su tutti i lati sono presenti delle grandi tende bianche, su cui vengono ripetutamente proiettati dei video. Scopriamo poi che si tratta di Terezin, il celebre campo di concentramento destinato a bambini ebrei di età compresa tra i 7 ed i 14 anni. Una voce fuori campo, accompagnata dagli attori, comincia a leggere con timbro infantile poesie e racconti scritti dagli stessi piccoli protagonisti, mentre sulle sfondo scorrono disegni. Disegni comunissimi, che chiunque potrebbe aver fatto a quell’età; disegni, tuttavia, totalmente discordanti dalle parole ascoltate: come possono dei bambini avere tale lucidità nel descrivere le brutali azioni subite? Come può un bambino essere costretto ad abbandonare la propria casa, la propria famiglia, per vivere esperienze così tanto crudeli? Ma soprattutto, come possono essere considerati uomini coloro che infliggono punizioni simili?

Questa costituisce solo la prima parte dello spettacolo: la prof ci aveva infatti anche accennato ad una versione del Diario di Anna Frank musicata da Gregori Frid, ma non eravamo certamente riusciti ad immaginare quanto avremmo poi visto (ed ascoltato). Dapprima entra un’attrice, vestita in abbigliamento tipico degli anni della seconda guerra mondiale: sembra in tutto e per tutto Anna Frank, e lo possiamo constatare dalle foto della giovane scrittrice che si susseguono, proiettate. Con voce chiara, cristallina, comincia a recitare il diario: ad ogni data corrisponde un fatto visto dagli occhi della quattordicenne; la sua vita è passata dalla normalità al disperato tentativo di nascondersi dalle SS. Quasi tutti in classe avevamo letto il romanzo, ma ascoltarlo è sicuramente tutta un’altra cosa: se alle elementari ci era stata presentata come un’opera leggera per approcciarsi al tema del nazismo, ora diventava un libro semplicemente agghiacciante.
La narrazione continua, ma cambia protagonista: entra in scena una soprano, anch’essa vestita allo stesso modo. Accompagnata dalla musica, la sua voce acuta, a tratti disperata e a tratti dolce, rende il tutto ancora più commovente, angosciante. Il finale dell’opera non viene svelato, ma tutti lo conosciamo bene.

Lo spettacolo finisce tra l’ovazione generale: noi usciamo dal teatro, pensando ancora a quanto appena assistito. Non si può certo dire sia stata una serata comune.

Un giudizio?
Bisogna partire dal presupposto che uno spettatore non sa e non è dato che conosca e quindi, come succede spesso, si trova di fronte a riferimenti che gli risultano incomprensibili. L’intreccio di immagini e di testi proposti dalla regia non ha avuto certamente un ruolo didascalico per definizione, tuttavia ha saputo colpire e trascinare in quell’atmosfera con una carica di pathos decisamente alta. L’allestimento dei pannelli con la distribuzione delle parole ha avuto l’effetto di immettere lo spettatore all’interno della situazione, in uno sfondamento della quarta parete. È stato come entrare dentro quel diario e vivere per un attimo un’esperienza.