di Aurora Ciugurean, classe 1B classico
Se analizziamo il rapporto tra Dante e Boccaccio, potremmo concludere che il secondo è quello che oggi chiameremmo “fan” del primo. Però bisogna distinguere due tipi di fan: c’è quello classico, che conosce le opere di qualcuno e segue le notizie che lo riguardano, poi c’è quello che conosce persino il tipo di mutande usato dal suo idolo e su di lui basa la sua vita.
Diciamo che Boccaccio è una via di mezzo, anche se più simile al secondo tipo.
Ma nonostante ciò, l’autore del Decameron ha una visione laica e antropocentrica della vita degli uomini e della loro virtù, mentre l’autore della Divina Commedia ne ha una teologica e teocentrica.
Ciò si può molto facilmente capire ponendo un piccolo quesito: quanti protagonisti delle novelle boccaccesche finirebbero nell’Inferno dantesco?
Infatti, mentre Dante pone tra i dannati personaggi che escono dalle situazioni peggiori grazie al loro ingegno (l’esempio più eclatante è Ulisse, insieme a Diomede e il famigerato cavallo di Troia), Boccaccio li elogia per essersi trovati in una situazione a causa della Fortuna (cioè la sorte) e avere dimostrato una grande Industria (cioè la capacità di sfuggire alle situazioni usando la propria arguzia).
Quindi, solo per dimostrare la mia tesi sulla dicotomia delle loro visioni, proviamo a rispondere al quesito su chi verrebbe posto nell’Inferno dantesco.
Tre quarti dei personaggi di Boccaccio si troverebbero nel cerchio dei lussuriosi (non sarebbe stato divertente se durante il discorso di Francesca su “Galeotto fu il libro e chi lo scrisse” avessimo incontrato una badessa con delle braghe in testa?).
Oltre a ciò, credo che troveremmo frate Cipolla, dal momento rigira la beffa che era stata rivolta a lui a tutti i contadini ignoranti che avevano pagato solo per farsi truffare.
Troveremmo anche Andreuccio da Perugia che, nonostante sia stato così industrioso da tornare a casa più ricco di prima dopo tutte le sue disavventure, ha comunque commesso sacrilegio.
Chichibio, benché se la sia cavata in maniera anche molto divertente, sarebbe comunque stato punito come ladro.
L’unico che mi lascia effettivamente il dubbio è Federigo degli Alberighi.
Egli è un uomo che ha sperperato tutto il denaro della sua famiglia per conquistare una donna già sposata (anche se poi vedova), arriva perfino a cucinare il suo migliore amico pennuto per darglielo in pasto. Ma alla fine lui diviene un “buon massaio” dopo aver sposato la donna amata.
Ecco, non so se Dante l’avrebbe messo all’Inferno, ma bisogna anche considerare che Federigo non è stato così industrioso come gli altri personaggi e che Dante condanna coloro che se la cavano mentendo.
Tutto questo solo per dimostrare che Dante Alighieri e Giovanni Boccaccio hanno due visioni completamente dicotomiche: fortemente religiosa il primo e molto laica il secondo, il quale crede che ciò che il primo ritiene peccato sia qualcosa che permette all’uomo di confrontarsi con le grandi forze del mondo.
Possiamo dire che l’uomo fu fatto…per seguir virtute e canoscenza.