Molto ha fatto discutere in questi giorni un primo ordine esecutivo del neo eletto presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, il quale prevede la cessazione di finanziamenti da parte del governo federale alle organizzazioni non governative internazionali che praticano o informano sull’interruzione di gravidanza all’estero. L’ordine in questione è sempre stato molto dibattuto durante tutte le presidenze americane, dove i presidenti repubblicani lo hanno quasi sempre introdotto a partire da Ronald Reagan nel 1985 mentre quelli democratici lo hanno sempre revocato.
Il dibattito pubblico è stato molto acceso anche perché nella fotografia nella quale il presidente viene ritratto mentre firma l’esecutivo è circondato da soli uomini, i quali di fatto stanno decidendo probabilmente della vita di decine di migliaia di donne se non più.
La questione appare quindi palese ai nostri occhi: è possibile che nell’epoca moderna il corpo della donna non venga in tutti i casi considerato di sua stessa appartenenza?
Fin dall’antichità nella maggior parte delle società la donna è stata considerata un oggetto, funzionale alla continuazione della specie, non degna di accedere alle prime manifestazioni democratiche nelle poleis, non degna nemmeno di essere considerata cittadina. Alla donna non apparteneva nulla, né il patrimonio, né i figli, nemmeno quindi il suo corpo.
La storia ha fatto il suo corso e si è arrivati fino alle lotte per l’emancipazione femminile nelle fabbriche, per il voto, per la possibilità al divorzio e appunto il diritto all’aborto. In questo ultimo diritto la donna rivendica il pieno possesso e controllo del proprio corpo, la scelta, non facile ovviamente, di poter interrompere una gravidanza in totale sicurezza per la persona, senza dover ricorrere a metodi clandestini e pericolosi.
Il fatto che altri, soprattutto uomini in questo caso, possano decidere di privare le donne, soprattutto di paesi più poveri e quindi con meno possibilità, di scegliere cosa fare del proprio corpo o della propria vita appare un regresso per la società.
La gravidanza risulta un mutamento non indifferente per il corpo della donna ed inoltre nella nostra società comporta ancora degli svantaggi dal punto di vista lavorativo e questo “onere” per la riproduzione della specie ricade unicamente sulle donne. Quindi come si può togliere alla donna il diritto di decidere liberamente sul proprio corpo? Probabilmente un antico pensiero, ancora fortemente radicato nella nostra società che si dichiara lanciata verso il progresso, crede che il corpo della donna, nel momento della gravidanza, appartenga all’intera società e quindi su esso la decisione non risulti intima e personale, ma collettiva o meglio basata su principi etici unilaterali di chi gestisce il potere.
Imporre ciò senza permettere che ogni donna liberamente scelga se vuole o meno condurre una gravidanza è una negazione di un diritto fondamentale, è togliere la dignità di persona a chi è chiamata per natura a dare la vita, è mantenere la donna in uno stato di subordinazione.
Ovviamente si tratta di un’opinione personale su un argomento, me ne rendo conto, estremamente divisivo. Chiunque sentisse il bisogno di raccontare la propria esperienza a riguardo o semplicemente di esprimere un parere diverso dal mio è invitato a mettersi in contatto con la redazione, che sarà più che felice di pubblicare una lettera di risposta.
