Agorà Campo lungo

IL RILANCIO DEI DEMOCRATICI

di Marco Visentin, II C Classico

Uno stimolante commento al mio articolo sulla vittoria di Donald Trump pone un interrogativo non dappoco: “che cosa dovrebbe fare l’élite liberal americana per i prossimi quattro (o otto) anni?”. E, aggiungerei io, come potrà recuperare il rapporto perduto con i cittadini?

In primo luogo, bisogna considerare che le forze politiche che si identificano più o meno con la “sinistra” stanno vivendo, in Occidente, un momento di drammatica crisi: basti pensare a Spagna (con il PSOE ai minimi storici), Francia (con i socialisti che probabilmente non raggiungeranno il ballottaggio), Germania (con una SPD subalterna ai centristi cristianodemocratici) e alla stessa Italia (con il PD che esce politicamente sconfitto dal referendum costituzionale); lo spettro del nazionalismo, inoltre, grava sui Paesi dell’Est europeo, come Polonia e Ungheria; in Austria, dove pure le elezioni presidenziali sono state vinte dal verde Van der Bellen, si è assistito al crollo dei partiti tradizionali.

Che cosa ha smesso di funzionare nel paradigma della sinistra? Certo, negli Stati Uniti la situazione è differente, ma la domanda, per noi europei, è di primaria importanza. Michele Serra scrisse, subito dopo l’esito delle elezioni americane, che “la sinistra deve ripartire dalla gente”. Dal contatto diretto con le persone e dall’ascolto dei loro problemi. Per noi, anche dalle sezioni, dai circoli di partito, da una presenza diffusa sul territorio. Nulla di più vero: si è perduta la sintonia con chi è in difficoltà.

Ora, se la sinistra, naturale sostenitrice degli oppressi, abdica a questo proprio ruolo, che ne resta? Le forze post-comuniste e socialiste si sono progressivamente, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, appiattite sul modello economico liberista, non solo evidentemente latore di diseguaglianze, ma anche cavallo di battaglia delle destre. Non è necessario citare Karl Marx per ricordare che missione della sinistra è proprio cercare l’uguaglianza sociale.

Questo per quanto riguarda noi. L’élite liberal americana non è mai stata una forza politica di sinistra nel senso in cui l’intendiamo noi: ha sempre sostenuto il capitalismo, al massimo correggendolo alla luce delle teorie keynesiane. Al tempo stesso, rispetto al Partito Repubblicano, è indubbiamente più liberale nei costumi, più libera dalla religione (che negli States ha un ruolo determinante a livello elettorale) e, seppure in misura minore che in Europa, dimostra una certa attenzione nei confronti degli ultimi (si pensi alla riforma sanitaria di Obama).

Hillary Clinton, però, non è stata vista da alcuno come una paladina dei “lasciati indietro”: forse, ora che gli Stati Uniti vivono una drammatica crisi sociale, avrebbero avuto bisogno di una sinistra vera. Hillary è stata semmai identificata con una politica torbida e connivente con i locali “poteri forti”: Wall Street, le multinazionali, le lobby.

Ho guardato con interesse a Bernie Sanders: è quanto di più simile al socialismo europeo io abbia potuto vedere nel Paese a stelle e strisce, e avrebbe avuto tutte le carte in regola per divenire un buon presidente.

L’élite liberal americana ha ora quattro anni (speriamo non di più) di Donald Trump per riorganizzarsi: riparta dalla gente, si faccia interprete del disagio sociale, delle istanze di rinnovamento. Il sogno americano è fallito? Forse, probabilmente, sì: non si può continuare a perseguire teorie politiche vetuste, senza percepire le mute grida di aiuto che giungono dalla parte più svantaggiata della società. Dalle macerie di questo sogno, ricostruite, in quattro anni, un ideale nuovo e migliore.

Hillary Clinton e Bernie Sanders