Concorso nazionale di poesia e narrativa “TENENDOCI PER MANO”
Al concorso letterario nazionale AVAPO, Alvise Canal, 5F, ha ottenuto il 4° posto con un ”premio di considerazione creativa”, Le motivazioni del premio sono state: “la solidarietà vissuta in modo tenero e amoroso all’interno della famiglia. Scritto con la mano leggera della giovinezza”.
La giuria si è complimentata per la giovane età e la bravura. Alvise ha ricevuto un diploma di partecipazione, una medaglia e una chiavetta USB.
Tema? La solidarietà! Occasione? Lo stare accanto, con un racconto o una poesia, a chi lotta contro un tumore e ai suoi familiari. La Redazione si felicita con Alvise, di cui pubblicherà alcuni contributi nel nel numero di dicembre. Ecco il racconto….
I raggi del sole attraversano la vetrata, illuminando il tuo volto ancora poggiato sul morbido cuscino. I tuoi occhi si aprono controvoglia e ti rigiri nel letto, rifiutando di alzarti. Cerchi il viso di tuo marito al tuo fianco, ma egli non c’è già più. Si è svegliato presto, muovendosi silenziosamente per non svegliarti, ed è corso giù in cucina a prepararti la colazione.
Ti dispiace di non trovare il suo corpo forte vicino a te e ti raggomitoli fra le pieghe delle lenzuola, pensando all’amore profondo che vi unisce, in salute e in malattia.
Hai paura di alzarti, di prendere coscienza di te stessa e del giorno che inizia.
Vorresti restare a letto, ma sai che non puoi.
Scosti, allora, le lenzuola dal tuo corpo accaldato, alzandoti finalmente dal letto e stiracchiando i tuoi arti, tesi e doloranti. Ti reggi a stento in piedi, ma decidi ugualmente di dirigerti verso lo specchio dell’armadio, ritrovando in te stessa una forza incredibile. In fondo la tua voglia di vivere, la tua gioia e la tua volontà, non hanno mai ceduto in questo lungo periodo, durante il quale sei stata costretta a soffrire dolori inenarrabili. Eppure adesso inizi a vacillare, a tremare, e la tua mente si riempie di dubbi e di preoccupazioni, di angosce e rammarichi.
Devi stare tranquilla.
Fosse facile.
Volgi il tuo sguardo allo specchio: riflette un corpo deformato, un corpo con il quale hai imparato a convivere, nonostante le sofferenze che ti ha arrecato.
Eri una bellissima donna, ma lo sei ancora?
I tuoi splendidi capelli sono ormai scomparsi e, al loro posto, solo una testa nuda e indifesa. Ricordi ancora le lacrime di quando le ciocche cadevano a terra. Non faceva male, ma la sofferenza che provavi in quei momenti era enorme, come se con i capelli se ne andasse tutta la tua vita.
Il tuo corpo, affaticato e sofferente, è piegato su se stesso, come se non avesse più la forza, come se lo scheletro non bastasse più a reggerti in piedi.
Quella orrenda massa informe.
Ricordi ancora quando i medici la definirono la prima volta.
Neoplasia. Tumore.
Ti sentisti mancare.
Con te, i tuoi amici, i tuoi parenti, la tua famiglia, piansero tutti, ma tu fosti la prima a smettere, a raccogliere le energie e a lottare, ad andare avanti. Tu volevi vivere e non sarebbe stata una maledetta malattia a fermarti.
O, almeno, questo era quello che credevi.
Il tuo sguardo, ora si sofferma su quel segno, su quella massa estranea ed invadente, che continua a permanere, nonostante le decine di tentativi provati per rimuoverla e per farti tornare in salute. Sarebbe riuscita a rovinarti la vita se non avessi avuto nessuno al tuo fianco, a condividere il tuo dolore e a lottare con te.
Braccia vigorose ti avvolgono i fianchi e due labbra fresche si appoggiano sulla tua guancia, baciandoti dolcemente.
“Buongiorno, Amore”.
Il volto di tuo marito, piegato in un bellissimo sorriso, compare accanto al tuo, teso e impaurito.
“Sei bellissima.”
“E tu il più grande bugiardo”.
Una lacrima amara scende dai tuoi occhi rigandoti il volto, ma ,con un rapido gesto, tuo marito ferma la lacrima, asciugandola.
“Amore sono orrenda, non riesco più a riconoscermi…questa non è la donna che hai sposato.”
“Guarda. Guarda lo specchio. Lo vedi quello sguardo? Bene…quello è lo sguardo della donna che amo, uno sguardo profondo che le mie parole non riescono a spiegare. Tu sei ancora bellissima. Non è cambiato niente. Niente.”
Piangi, come una bambina. Non è da te, ma non riesci a farne a meno.
“Amore, ho paura. Ho paura di morire…”
Parole che escono a fatica, come se il solo pronunciarle fosse già morire un pò.
“Non voglio morire.”
“Amore…Tu non puoi morire! Sei già un angelo. Il mio Angelo.”
Due meravigliosi bambini spalancano correndo la porta, gettandosi sulle tue gambe, abbracciandole, in un gesto tenero e spontaneo.
“No, sei il nostro di Angelo!”.
“Come farei senza di voi, amori miei.”
“Come faremmo noi senza te, Mamma!”.
Smetti di piangere. Devi mostrarti forte davanti ai tuoi bambini, alla tua famiglia. In fondo loro ti sono sempre stati accanto, lottando con te. Non puoi deluderli.
Ti chini faticosamente per poterli baciare sul capo, stringendoli al tuo corpo.
“ Ragazzi ora non fate tardare la mamma. Andate a vestirvi su.”
“Subito papà.”
I bambini si staccano dalle tue gambe correndo nelle loro camere a prepararsi per la scuola, sorridenti e aperti al mondo, come sempre.
Tuo marito ti stringe il volto fra le mani, baciando le tue labbra con estrema passione e dolcezza.
“Dobbiamo prepararci amore. Ci aspettano in ospedale”.
Paura, ansia e terrore. Poi un sorriso.
“Andiamo.”
Prendi una borsa leggera e indossi una maglia, diventata una sorta di portafortuna durante la tua malattia. Vi è stampata una scritta: “A.V.A.P.O.”. Per molte persone non significa nulla e forse non sanno nemmeno cosa essa sia, ma per te quella scritta ha un significato profondo. Quella scritta ti ricorda una sorta di seconda famiglia, che ti ha accolta fra le sue braccia aiutandoti nei tuoi continui e dolorosi ricoveri, facendoti sorridere e dandoti la forza di andare avanti. Gratuitamente. Amorevolmente.
Devi molto a quei volontari.
E poi, hai promesso loro una cena post-guarigione, e una promessa è pur sempre una promessa.
Esci di casa, accompagnata dai figli che non si staccano per un secondo. Vorresti dir
loro che ti stanno soffocando, ma li ami troppo per separarti da loro.
I minuti passano in fretta, fra una carezza, un bacio e una lacrima. Ora sei già in sala operatoria, distesa su quel freddo lettino a guardare quegli omini verdi, che mentre ti girano intorno ti appaiono così terrificanti. Ti incoraggiano cercando di farti rilassare, ma le loro parole non servono. Sono solo dei sussurri rispetto alla paura che urla nel silenzio che hai dentro e che fa fremere il tuo corpo. Ancora una volta ricordi i volontari, i tuoi figli e tuo marito. Non puoi deluderli. Non ora.
Posano la mascherina sul tuo volto.
Ci siamo.
“Conti, signora…”
“Uno…due…tr…”