di Teresa Vio 5G
Venezia nelle mattine di sole è pervasa da una luce accecante, che scalda le case e si riflette sull’acqua del Canal Grande dando vita ad un’atmosfera quasi surreale. Ma, camminando per le calli, è un edificio in particolare che cattura l’attenzione: sulla sua facciata bianca infatti, la luce ha un effetto ancora maggiore che sulle altre, e la fa sembrare un faro che si staglia sui mattoni delle case intorno, chiamando a sé lo sguardo dei passanti. Avvicinandosi ad esso, si scopre che il palazzo Venier dei Leoni è effettivamente un faro nel mondo dell’arte, poiché contiene la Peggy Guggenheim Collection, casa di alcune delle più importanti testimonianze delle avanguardie storiche del primo ‘900, raccolte dall’acuto gusto artistico della grande appassionata d’arte di cui la collezione porta il nome.
Guidati dal professor Pinton, partendo dall’esperienza futurista italiana di Boccioni, siamo approdati all’Action Painting di Jackson Pollock, passando per il cubismo di Picasso e Braque e la pittura astratta di Kandiskji.
Dal Controluce (1910) prefuturista di Boccioni, che sul piano stilistico non presenta ancora grandi innovazioni, arriviamo a Materia (1912) dello stesso, dove interni ed esterni si confondono, e ogni oggetto è fuso con gli altri, a dimostrazione della scelta dell’artista di rappresentare più punti di vista nello stesso momento. Il Dinamismo di un ciclista (1913), invece, si concentra sul tema della velocità e della rappresentazione del movimento tanto cara alla corrente futurista.
Nella stessa ottica, Severini dipinge un quadro dal titolo Mare=ballerina che suscita non poca perplessità all’interno del nostro gruppo di visitatori. Ma l’arcano viene svelato, e dall’intreccio di linee emergono le onde azzurre del mare e le forme, seppure geometriche e confuse, di una figura femminile che ruota in una rapida danza.
Incontriamo poi Georges Braque e Pablo Picasso, i due più grandi esponenti del movimento cubista. Del 1912 è il Clarinetto di Braque; la composizione, appartenente alla fase del cosiddetto cubismo analitico (1909-1911), è frastagliata e gli oggetti -come ad esempio la chitarra- sono interrotti per permettere una visione completa della scena. Evidente poi, è la scelta di usare punti di vista molto diversi, per rappresentare al meglio ogni cosa. Più leggibile invece, è il collage di Picasso dal nome Pipa, bicchiere, bottiglia di Vieux Marc (1914). Essa infatti appartiene al periodo “sintetico” (1912-1913), e sebbene rimanga la scelta dei differenti punti di vista, gli oggetti risultano molto meno frammentati rispetto a quelli presenti nell’opera di Braque.
Passando per l’atmosfera metafisica de La nostalgia del poeta (1914) di Giorgio De Chirico, arriviamo alla visione surreale di René Magritte nel suo Impero della luce (1953): egli è il primo che sceglie, con un effetto decisamente straniante, di inserire in una stessa scena il cielo azzurro del giorno con la luce artificiale di un lampione nel buio della notte.
Vediamo poi il Paesaggio con macchie rosse (1913) e la Croce bianca (1922) di Vasily Kandinsky . La sua pittura è caratterizzata da soggetti quasi completamente astratti, e dall’ uso di macchie dense di colori puri.
Il punto di arrivo della nostra visita è Jackson Pollock: le sue opere (Occhi nel caldo del 1946 e Alchimia e Foresta incantata del 1947) non sono più eseguite con il pennello, ma facendo gocciolare il colore puro direttamente sulla tela, dando vita così ad un casuale groviglio di linee e colori.
Usciamo infine dalla casa-museo di Peggy, e ritorniamo nella nostra realtà, certo non frammentata come un quadro di Picasso, lasciandoci alle spalle quell’arte che ha smesso ormai da tempo di rappresentare fedelmente il mondo che ci circonda.