di Marco Visentin, II C Classico
È proprio vero che “traduciamo” dal greco e dal latino? Quelle frasi bizzarre – tutti “giungono” e nessuno “arriva” mai –, piene zeppe di gerundi al limite del concepibile, sono vere traduzioni? O quell’italiano da libretto d’opera è solo il tentativo di mostrare che abbiamo capito (ma non è vero per niente) il testo di partenza? Forse, se le traduzioni dei classici fossero un po’ più rispettose dello spirito e meno della lettera, la “gente comune” vi guarderebbe con rinnovato interesse…
Dubbi e riflessioni che aprono una crepa in un universo ad ora tendenzialmente statico (i fautori dell’eterna modernità dei classici me lo concedano) qual è la traduzione dalle lingue antiche. Troppo statico. Disarticolato rispetto alla lingua corrente, vittima di un “jet-lag traduttorio” che fa parlare un millennial come Pavese e Calvino – ma con uno stile confuso che mischia forme di provenienza indefinita.
“Traduzione e traduttese”: di questo ha parlato il professor Federico Condello, docente presso l’Università di Bologna, in un incontro al Franchetti il 16 febbraio. Da Euripide ad Aristofane a Virgilio, ha restituito ai classici (o ha tentato di farlo) qualche granello in più della loro forza espressiva. Leggendo tra le righe, trovando significati nascosti e pressoché dimenticati, quelli che talora il lettore non coglie neanche in italiano; interrogandosi sul mutato contesto culturale.
Perché Medea dovrebbe dire “infame” o “scellerato” a Giasone? La nostra lingua non ha insulti più forti? Da quando sono i professori universitari e non i poeti a tradurre ne ha guadagnato la filologia, perso l’espressività – e lo dice proprio uno di quei professori…
Non si allarmino, però, gli insegnanti del Ginnasio: la “letteralità traduttiva” (il traduttese, appunto) è un passaggio inevitabile, che porta a vantaggi didattici; ma quanto a lungo trattenere gli studenti in questa fase? È pure un limbo in cui essi sono imprigionati, senza essere completamente illetterati, ma non riuscendo nemmeno a comprendere appieno il ricco contenuto dei testi antichi. Non è un caso se uno dei fenomeni ricorrenti nella traduzione scolastica è una “indifferenza sostanziale a fenomeni di carattere retorico-espressivo, a scarti stilistici” et similia.
Per apprezzare quella ricchezza e quell’espressività che di solito si tralasciano, si è tenuto pure un laboratorio pomeridiano di traduzione sulle Nuvole di Aristofane, con una quarantina di studenti attenti e vivaci, e professori spiazzati e divertiti. A interrogarsi sul senso profondo della commedia, a inventare parole, ad analizzare filologicamente anche le parolacce (eh, beh) – qualche professore, poi, con zelo inusitato… Vi è una tale forza nei testi, che in classe non cogliamo!
E così, finalmente, chi va alla porta chiede “chi è?” e non “chi è colui che bussa alla porta?”; e ci aggiunge pure un vigoroso “e che cazzo!” per il disturbo, non “va’ ai corvi” (per carità!).
Certo, sono difficili da cogliere, quei molteplici significati che Condello ha spiegato nelle Nuvole. Non vuol dire che sia impossibile, però: magari, non senza sforzo, Aristofane riuscirà a far ridere come Crozza e i lettori della Medea si commoveranno come quelli di Colpa delle stelle…
