di Alessandro Vivian 5F (scientifico)
La novità per ripulire il mare dagli inquinanti e dal petrolio viene fornita dalla natura e si chiama: batteri. L’utilizzo di batteri “mangia-petrolio” potrebbe essere una tecnica eco-sostenibile, senza costi smisurati e senza effetti sull’ecosistema marino.
Il petrolio greggio è una miscela complessa di diversi idrocarburi presenti in percentuali variabili in prevalenza alcani; questa, nei depositi naturali, rimane stabile per lungo tempo, ma cambia quando il petrolio viene esposto all’azione della radiazione solare, dell’acqua, dell’ossigeno, dei microrganismi e di altri fattori.
Di norma il petrolio scaricato in mare viene degradato naturalmente dall’ambiente attraverso processi, noti come “weathering”, che ne modificano la composizione.
Le gocce di petrolio, in base alle dimensioni, possono persistere in sospensione nella colonna d’acqua, oppure aggregarsi con altre particelle formando degli strati spessi o dei sottili film di petrolio che fluttuano sulla superficie dell’acqua; se si aggrega a particelle di sabbia o solidi sospesi, il greggio forma degli aggregati che affondano depositandosi sul fondo del mare.
Dopo lo sversamento, le radiazioni solari a bassa lunghezza d’onda possono indurre diverse reazioni chimiche (ossidazione, decomposizione, polimerizzazione) e molti dei componenti del petrolio sono degradati da microrganismi che necessitano di fosforo e azoto per il loro metabolismo.
Se gli sversamenti in mare di petrolio costituiscono la causa più documentata delle “maree nere”, l’inquinamento sistematico rappresenta la maggior parte dei casi e deriva da fonti diverse: dalle perdite di raffinerie o degli impianti di trivellazione in operazioni offshore, dal trasudamento naturale, ma soprattutto per lo scarico in mare di acque di zavorra da parte di petroliere e navi cisterna.
Anche i giacimenti di petrolio in terraferma possono provocare gravi danni all’ambiente e le fuoriuscite sono generalmente causate da impianti che non sono sottoposti agli opportuni controlli. L’inadeguata manutenzione degli oleodotti ha contaminato vaste aree in Russia devastando gli ecosistemi della tundra e della taiga; mentre nella regione del delta del Niger le perdite nei terreni ha formato una crosta che li ha resi inutilizzabili anche per la consuetudine di bruciare i residui sparsi sul terreno o di lasciare che il petrolio fuoriuscito si degradi sotto l’azione del calore.
Tra i numerosi disastri che si sono verificati negli ultimi decenni si possono menzionare
• disastro della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, 2010: da 400.000–1.200.000 tonnellate di greggio sversate)
• quello causato dalla petroliera Jessica, che nel gennaio 2001 riversò, nel mare davanti alle isole Galápagos, circa 600 tonnellate di greggio mettendo a rischio l’habitat naturale della zona
• quello provocato della nave Prestige, nel 2002, che si spezzò e la “marea nera “che fuoriuscì contaminò le coste spagnole della Galizia con 60.000 tonnellate di petrolio.
• Il petrolio e gli altri prodotti di scarto che vengono rilasciati dalle navi e dalle industrie nei fiumi, nei mari, ma anche nel terreno danneggiano l’ecosistema delle coste in varie zone del mondo .
La contaminazione da idrocarburi avviene, nel 10% dei casi, per cause accidentali attraverso il riversamento in mare di ingenti quantità di petrolio da navi petroliere coinvolte in incidenti di navigazione.
Sono noti gli effetti tossici del petrolio sul plancton e di conseguenza su tutta la catena alimentare.
Il contatto del petrolio con il piumaggio degli uccelli marini causa la distruzione delle barbe e delle barbule delle penne determinando la perdita delle proprietà idrorepellenti, dell’isolamento termico e delle capacità di volo per l’incollamento delle piume.
Il greggio che va a riversarsi sulle coste può distruggere interi ecosistemi sensibili come le foreste di mangrovie , barriere coralline, paludi salmastre, ma anche di causare danni alle attività commerciali proprie elle coste quali la pesca, l’acquacoltura ed il turismo.
In passato, per rimediare all’inquinamento accidentale da petrolio le pellicole oleose venivano cosparse con sostanze emulsionanti che alla fine risultavano più dannose del petrolio stesso per gli effetti collaterali sull’ambiente e sull’uomo.

Uno studio, pubblicato su Nature Microbiology, nel quale sono stati analizzati i genomi di batteri raccolti nelle vicinanze della piattaforma Deepwater Horizon, protagonista, nel 2010, di un disastro ambientale nel Golfo del Messico ha permesso di individuare una sorta di comunità di microorganismi nella quale sono state studiate due specie batteriche in grado di agire come efficienti anti- inquinanti: l’Alcanivorax borkumensis e l’Oleispira antartica.
L’A. borkumensis è un microrganismo Gram negativo, alofilo, aerobico a forma di bastoncino relativamente raro nei mari incontaminati ma presente in percentuale piuttosto elevata nelle acque inquinate dal petrolio, poiché utilizza gli idrocarburi come fonti di energia.

Vive negli strati più superficiali dell’oceano e possiede alcuni geni che lo proteggono dagli effetti dannosi delle radiazioni ultraviolette; attraverso il sequenziamento del DNA i ricercatori hanno scoperto che questi batteri producono enzimi efficaci nel processo di degradazione del petrolio: l’alcano idrossilasi, la rubredossina e la rubredossina-reduttasi che agiscono rompendo gli idrocarburi miscelati nel greggio, convertendoli in acidi grassi che vengono poi utilizzano come componenti della membrana cellulare. Vengono prodotti anche bio-surfattanti, sostanze dotate di proprietà tensioattive che, riducendo la tensione dell’acqua da 72 a 92 mN, contribuiscono ad emulsionare il petrolio aumentando l’indice di degradazione; infine è stata riscontrata la capacità ì di attivare processi di decontaminazione di composti come l’arseniato, il mercurio, il rame ed altri metalli pesanti. A basse temperature, 2-4 °C, cresce un altro importante batterio: l’Oleispira antarctica che può essere utilizzato nella pulizia di ambienti marini danneggiati o contaminati da idrocarburi. Si tratta di un microorganismo Gram negativo, mobile con un unico flagello polare, aerobico ma che è in grado di crescere in condizioni anaerobiche mediante la riduzione del nitrato.
Possiede gli enzimi ossidasi e catalasi ed utilizza l’ammoniaca e i nitrati come fonti di azoto mentre ricava il carbonio dagli un idrocarburi, ed ha affinità per gli ioni metallici, che sono essenziali per la crescita; l’origine marina lo rende strettamente dipendente dalla presenza di sodio, mostrando una crescita ottimale in presenza di 3-5% (peso/ volume) di NaCl.
L’utilizzo dei batteri idrocarburo-clastici potrebbe essere il biorisanamento messo in atto attraverso un insieme di tecnologie per la depurazione del suolo e del mare che utilizzano microorganismi naturali o ricombinanti al fine di eliminare le sostanze tossiche e pericolose attraverso processi aerobici e anaerobici.
Questo risanamento può essere effettuato stimolando la crescita dei ceppi autoctoni mediante l’aggiunta di nutrienti o aggiungendo biomassa arricchita per incrementare la popolazione batterica che degrada gli idrocarburi. Considerando la complessità delle componenti del petrolio, è auspicabile l’utilizzo di un’ associazione di microrganismi ciascuno dei quali sia specializzato nella degradazione di specifiche componenti. Finora la lotta contro l’inquinamento dagli sversamenti di petrolio è stata condotta usando considerevoli quantità di agenti chimici che hanno causato danni sia all’ambiente che alla salute, pertanto. l’impiego di batteri, anti-inquinanti naturali, sarebbe la soluzione più pulita ed eco-sostenibile.
Sitografia
- http://www.ilfuturosostenibile.it/ies/index.php/ambiente-e-biodiversita/661- pierpaolo-de-flego
- http://www.geroli.com/blu/imPetrolio.htm
- http://www.isprambiente.gov.it/contentfiles/00010300/10390-rapporto-149- sversamenti-di-petrolio.pdf
- https://www.focus.it/ambiente/natura/07062010-1720-888-batteri-spazzini-ripuliscono-il-golfo-del-messico
- http://www.rinnovabili.it/ambiente/petrolio-batterio-inquinamento-idrocarburi-oleispira-589/
- https://en.wikipedia.org/wiki/Alcanivorax