di Laura Muscardin, classe VB scientifico
Recensione consegnata in questa forma nell’ambito del concorso “David Giovani”.
A quasi 20 anni dall’uscita del suo capolavoro Le fate ignoranti, Ferzan Özpetek torna al cinema con uno dei film più belli della sua carriera, La dea fortuna, ispirato a una storia vera, d’amore e d’amicizia. Molto interessanti sono i significati dei titoli dei film di Ötzpetek, mai scontati; nel caso de La dea fortuna, si fa riferimento al tempio romano dove Alessandro e Arturo si incontrarono per la prima volta, innamorandosi a prima vista; il santuario era celebre per il culto della Fortuna, intesa come spiega Alessandro “caso che si presenta davanti neutro, buono o cattivo, dipende solo da noi”. La Fortuna fa dunque da vera protagonista in questo film, intesa come sorte, puro caso, pronto a sconvolgere la consueta routine.
Il film si apre con una scena poco chiara: la luce soffusa e la musica di sottofondo rendono l’atmosfera inquietante e mentre l’inquadratura si sposta all’interno di questa casa sconosciuta si riescono a intravedere teschi, carta da parati vecchio stile e antichi ornamenti. La scena si sposta bruscamente in un ambiente molto più accogliente: una terrazza, luogo ripreso da Le fate ignoranti, dove si sta festeggiando un matrimonio. Come da tradizione si ritrovano attori come la simpatica Serra Yilmaz, dispensatrice di ottimi consigli, e Filippo Nigro, con ruoli sempre più marginali nei film di Özpetek, i colori vividi e l’effetto pastello utilizzati per le riprese cercano di soddisfare un ideale surrealistico di un’Italia idilliaca e spensierata, in stile Vacanze romane.
Come di consueto, il regista vuole rappresentare una realtà a lui vicina, scegliendo come protagonisti di questa commedia due uomini, una coppia di omosessuali: Alessandro, affascinante idraulico che cede volentieri ai piaceri carnali, sempre molto positivo e ottimista, interpretato da Edoardo Leo, e Arturo, traduttore molto puntiglioso in difficoltà economiche che non è riuscito a diventare né uno scrittore famoso e neanche a intraprendere la carriera universitaria, affidato a Stefano Accorsi.
Alessandro e Arturo, dopo una lunga relazione, si trovano ad affrontare una forte crisi che porta a una carenza di passione e complicità tra i due, culminando poi in ripetuti tradimenti da parte di entrambi. In questa situazione di precario equilibrio, i due protagonisti vengono messi a dura prova dall’arrivo di due bambini, Martina e Sandro; Annamaria, madre dei ragazzini, migliore amica di Alessandro, nonché colei che gli fece conoscere Arturo, deve affrontare delle cure, e dunque necessita di un aiuto dalla coppia. Arturo e Alessandro, inizialmente impacciati e incapaci di essere autorevoli con i bambini, si trovano così a dover affrontare la paternità. L’autore non perde occasione per enfatizzare l’importanza di una famiglia allargata, composta da amici sempre pronti a supportarsi a vicenda, per chi, come i due protagonisti del film, viene rifiutato dalla famiglia biologica in quanto “diverso”, gay o transgender. Il regista trasforma dunque questo concetto, semplice ma fondamentale per l’evolversi del film, in un immagine, catturando gli attori su teli a quadri, su un prato verde in una bella giornata di sole per un pic nic in compagnia; è proprio in questo contesto che il piccolo Sandro si alza in piedi spiegando che “la dea fortuna è un segreto, come fai a tenere sempre con te qualcuno a cui vuoi molto bene? Devi guardarlo fisso, prendi la sua immagine, chiudi di scatto gli occhi, li tieni ben chiusi, e lui ti scende fino al cuore e da quel momento quella persona sarà sempre con te” lasciando così tutti stupiti per il gesto inaspettato. Le scene di serenità e spensieratezza sono delineate da costanti battute che accompagnano l’intero film, accostandosi però ciclicamente a litigi tra Alessandro e Arturo. È quindi nella parte centrale del film che si sprigiona un turbinio di rabbia, tristezza e delusione di due uomini fragili, che devono affrontare delle grandi difficoltà con la responsabilità di due giovani vite sulle spalle.
A mio parere la scelta dei vari personaggi è stata molto azzeccata: Edoardo Leo nella parte del bel giovane romano rubacuori un po’ rozzo nei modi, molto diretto ma buono di cuore, mentre stupisce molto Stefano Accorsi, calato totalmente nel personaggio di uno scrittore scrupoloso, molto educato, che sembra indossare una corazza quotidiana per proteggere la sua immensa fragilità d’animo. Nonostante la pessima ed esagerata drammaticità della conclusione del film, ho molto apprezzato la presenza di Barbara Alberti, estremamente appropriata al ruolo di nonna cattiva da drammi infantili e che dunque ha reso il finale convincente.
Ne La dea fortuna si può notare un Ferzan Özpetek molto maturo che tratta temi importanti come la paternità e il mutamento dell’amore col passare del tempo, l’attenzione del regista non ricade più sull’erotismo dell’amore di coppia, come in Napoli velata, bensì sulle dinamiche familiari, in stile mucciniano, il regista è stato in grado di trasmettere il messaggio che “l’amore chiama amore” affrontando con grande semplicità il tabù dell’omosessualità.
La dea fortuna è decisamente un film molto coinvolgente, che trasmette allo spettatore grandi emozioni tramite sguardi intensi, silenzi rumorosi e scene di forte malinconia per amari ricordi; c’è da dire che l’autore ha la grande capacità di coinvolgere lo spettatore, permettendo a quest’ultimo di immedesimarsi nel personaggio, tutto questo grazie alla messa a nudo dei sentimenti dei protagonisti e alle colonne sonore sempre molto azzeccate dalle quali lo spettatore si lascia trasportare. Luna Diamante cantata da Mina e scritta da Ivano Fossati lascia gli spettatori col fiato sospeso e gli occhi lucidi, riesce a trasmettere a pieno la carica emotiva del film, di un amore intenso, vissuto, che si trova ormai agli sgoccioli, di due anime semplici impaurite dallo scorrere del tempo ma al contempo trasudanti di voglia di vivere e di ricominciare.