Il nostro angolo

Una terzina da rileggere: suggerimento per onorare il Dantedì

  Jonata Zampieri, I C classico

“Tant’è amara che poco è più morte,

ma per trattar del ben ch’io vi trovai,

dirò dell’altre cose ch’i v’ho scorte.”

 

 

 

 

 

È singolare questa terzina. Di fatti, ciò che subito salta all’occhio è il fatto che si parli anche del bene, il che può sembrare qualcosa del tutto fuori luogo, dal momento che Dante sta descrivendo uno dei luoghi peggiori del suo viaggio, ovvero la selva oscura. Ricordiamo che nella terzina immediatamente precedente scrive: “Ah, quanto a dir qual era è cosa dura, esta selva selvaggia e aspra e forte, che nel pensier rinova la paura”: i versi ci danno l’idea di quanto terribile realmente fosse questa “selva”, tanto che addirittura Dante, il sommo poeta, non riesce a descriverla. Sembra quasi che voglia farci comprendere che anche nei momenti peggiori, nei periodi più bui, c’è sempre un qualcosa di buono, di positivo, una speranza. Ce lo diceva già, d’altronde, Eraclito: non esiste un opposto senza l’altro. Peraltro qui, nei primi due versi, vengono proprio presentati due opposti: il male (cui si fa riferimento parlando di “amaro” e “morte”) e il bene. Nel terzo verso, invece, c’è una sorta di sintesi fra le due precedenti affermazioni, con cui si conclude questa meravigliosa terzina.