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Apologia del Sessantotto

 

Era l’autunno del sessantasette e le foglie cadevano ineluttabili al suolo mentre gli atenei dell’Italia centro-settentrionale venivano occupati dagli studenti che, da lì a poco, sarebbero diventati i protagonisti di una massiccia contestazione giovanile. La protesta poneva le sue radici nei movimenti nati originariamente negli Stati Uniti, dove studenti, operai e gruppi minoritari avevano già iniziato la marcia contro gli schemi socio-politici allora in vigore. A questo si aggiunsero  il conflitto tra la nuova generazione e quella reduce dalla Seconda Guerra Mondiale, l’avvento di un’epoca di benessere che portò le persone a manifestare per la qualità della vita e non solo per il reddito, la protesta contro la guerra del Vietnam, il sorgente soggettivismo e la diffusione della cultura di massa; tutti elementi che condussero alla formazione di una nuova prospettiva in linea con pensieri progressisti. Furono il rifiuto dell’autoritarismo e il concetto di uguaglianza a guidare le voci della contestazione che assunse in quell’anno un carattere mondiale, coinvolgendo le coste del Nord Africa e l’entroterra meridionale del continente, così come il sud America e alcune zone dell’India, oltre a buona parte dell’Europa.

Il Sessantotto è stato un fenomeno complesso e su cui ancora oggi c’è un dibattito aperto. Molto spesso coloro che lo leggono come una completa disfatta e come un oltraggio ai valori della tradizione, definiscono la necessità d’espressione dei giovani del tempo come un capriccio, uno sfizio che sollevò proteste inutili e, con esse, anche violenza.

I tumulti in una società civile e democratica, però, sono la manifestazione di un sentimento di scontentezza, di insoddisfazione, da parte dei cittadini; indipendentemente dal fatto che provengano dalla maggioranza o da gruppi minoritari. Definire capriccio un segno di amarezza che sconvolge e turba il cittadino nell’intimo, come persona e come uomo, appare opinabile.

A partire da queste istanze insorsero movimenti a livello mondiale, per protestare contro l’autoritarismo, in quanto vi erano persone che non si sentivano rappresentate o da leggi dello Stato (o dalla mancanza di provvedimenti che prendessero in carico le loro necessità) o dai comportamenti troppo rigidi delle istituzioni. Nacque così una protesta pacifica che raccolse migliaia, milioni, di studenti e li riunì nelle piazze a contestare un sistema che non soddisfaceva le loro esigenze di alunni. La strategia dell’occupazione degli istituti fu la loro forma estrema di violenza, e si ricorda in particolare quella che venne definita la battaglia di Valle Giulia in cui, insediandosi nella Facoltà di Architettura dell’Università di Roma, i giovani manifestanti si scontrarono fisicamente con le forze armate. Quella fu una circostanza, un momento caratterizzato da violenza. Ma l’obiettivo dei sessantottini si discostava largamente da un atteggiamento di aggressività. Non volevano prendere il potere, non volevano assediare le istituzioni e spargere paura per il paese come le organizzazioni terroristiche a loro successive; ma desideravano cominciare ad essere ascoltati e ad essere compresi nelle loro richieste di studenti, lavoratori, donne e uomini con diritti e doveri.

Successivo a quest’ondata di proteste pacifiche nacque, all’inizio degli anni ’70, l’assetto terroristico delle Brigate Rosse, in netta contrapposizione con gli ideali pacifici dei sessantottini e in lotta con i gruppi estremisti di destra. La correlazione tra sessantotto e terrorismo, elaborata dal professor Richard Drake, è piuttosto fragile, in quanto gli attentati terroristici sono da attribuirsi a fattori preesistenti alla contestazione: questa, nella differenziazione delle posizioni ideologiche, al massimo, fu un elemento stimolatore, agevolatore, nei confronti delle organizzazioni eversive; ma certamente non è da ritenersi la genesi di tanta violenza.

Intanto tra i cortei giovanili, cominciarono a farsi strada anche movimenti femministi che, dopo il suffragio femminile del ’46, domandavano più diritti per le donne. In aggiunta anche le fabbriche dei lavoratori nel nord Italia, al termine del 1968, vennero contagiate dal flusso della protesta. Questo coro di voci lasciò in eredità alle generazioni degli anni successivi l’audacia che le portò a combattere per ottenere leggi tutt’ora in vigore come quella sul divorzio (1969), lo statuto dei lavoratori (1970), il riconoscimento dell’obiezione di coscienza e l’istituzione del diritto civile (1972), il nuovo diritto di famiglia (1975) e quella sull’interruzione volontaria di gravidanza (1978).

Il sessantotto è stato, così, padre di una serie di provvedimenti che hanno soddisfatto richieste di donne, uomini e lavoratori. È, dunque, inutile cercare di aggredire i sessantottini per il loro disperato bisogno di portare una ribellione incentrata sulla sfera privata, poiché, se non vi è comodità nello spazio più intimo di un cittadino, è meno probabile che questo possa esprimersi come tale in abito pubblico-sociale. È importante, quindi, dare la possibilità a ognuno di vivere a proprio agio; per questo motivo ogni provvedimento da parte dello Stato dovrebbe mirare alla difesa dell’animo umano e alla soppressione di tutto ciò che lo può offendere attraverso discriminazioni o mancanza di tutele legislative (che devono semper essere accompagnate da legittimi doveri), mettendo da parte, se necessario e se richiesto, gli schemi rigidi e paralizzanti della tradizione al fine di sostenere tutti gli uomini, uguali in dignità e diritti.