Parole Alate

La forchetta alla bocca

Miriam ha soltanto nove anni quando la maestra convoca sua madre per un  colloquio urgente. Sara, reduce da nottate insonni, con la pelle arrossata  per via di quel camice consumato che non lava da giorni, prende un  permesso in ospedale. Qualche spruzzo di profumo per affievolire  quell’odore di malattia che la perseguita ovunque e di corsa si reca nella  scuola della figlia. La dottoressa Sara Ambrosini è un’oncologa qualificata e  una madre attenta, ma negli ultimi tempi, per il carico di lavoro, sente di  aver trascurato un po’ la sua famiglia. 

Finalmente la campanella della scuola elementare annuncia la fine delle  lezioni e i bambini corrono a prendere i giacconi. Miriam e Nicole fanno a  gara a chi arriva prima; i compagni sono già pronti a festeggiare la vittoria  di Miri, quando la bimba si ferma, fa un respiro profondo e poi sorride  all’amica come per dirle oggi hai vinto tu!  

Nicole la guarda torva, quasi insoddisfatta dell’esito della gara, e la maestra  Chiara chiede: “Va tutto bene, Miriam?”.  

La bambina, con le gambe leggermente piegate e le mani sulle ginocchia,  fa cenno di sì e poi risponde: “Oggi sono un po’ stanca, ma domani mi  prenderò la rivincita!”. Tutti ridono e anche i lineamenti rabbiosi di Nicole si  sciolgono in un’espressione divertita. La maestra Chiara incurva appena le  labbra, ma il cuore le si incrina: spera che la mamma di Miriam sia già  davanti al cancello.  

La dottoressa Ambrosini è in ritardo. Parcheggia, chiude gli occhi, deglutisce  e corre dalla maestra Chiara.  

“Buongiorno maestra, mi scusi, c’è un traffico che…”.  

“Non si preoccupi, entri pure”.  

Sara si passa le mani fra i capelli scuri. Poi si avvicina a Miriam, le dà un  buffetto affettuoso e la stringe forte a sé.  

La maestra prende posto nell’aula, Sara paga un caffè e si siede. Le gambe  le tremano appena. 

“Come sta sua figlia?”.  

“Perfettamente in salute”.  

“Ne è sicura?”.  

“Certo, riconosco quando un bambino non sta bene”, sorride.  La maestra inarca le sopracciglia: “Sua figlia non mangia”.  “Può capitare che a volte abbia meno fame, ma è normopeso e non lamenta  alcun tipo di disturbo”.  

La maestra insiste: “…dovrebbe vederla, sul serio. Domani Lei o suo marito potreste venire in mensa all’ora di pranzo”.  

“La ringrazio davvero per le sue premure, ma Le ripeto che nostra figlia  mangia”.  

La maestra Chiara sospira frugando con la mente tra gli archivi dei suoi  ricordi e ripesca quella fotografia che la ritrae bambina, quando aveva  esattamente la stessa età di Miriam e, ne è quasi certa, la medesima  difficoltà.  

Un fulmine adombra lo sguardo della dottoressa Ambrosini, che con  espressione impassibile ripete: “Miriam sta bene”. Comincia a dubitare di  quella voce di cui non riconosce neanche più il suono. Lei è una dottoressa  e i dottori si accorgono quando qualcosa non va, giusto?  

“Miriam non riesce a portare la forchetta alla bocca”. Forte, ma concreto.  “Che cosa significa?”. Sara pensa al marito, ai pazienti che perde ogni  giorno, al caporeparto che le ha offerto una promozione, al piatto di pasta  che la sera prima Miriam ha rifiutato anche solo di assaggiare.  

“Guardi, signora. Ecco cosa significa”.  

La piccola Miriam tiene nella mano sinistra una forchetta di plastica e fissa  terrorizzata una fetta di torta che una maestra gentile ha voluto offrirle. Il  pan di spagna soffice, gli zuccherini colorati, la crema profumata, la nausea  intrappolata dentro le occhiaie, gli occhi di vetro, tutto così grande e il cuore  di Miriam sempre più piccolo.  

La bambina affonda la posata nella cioccolata viscosa, ne prende un po’ e

la avvicina alla bocca, ma poi tutto si stringe e si chiude. Le labbra, la gola,  lo stomaco, la pancia, i piccoli genitali. Miriam si contrae, con la forchetta a  mezz’aria e i pensieri sospesi, ma non si arrende. La forchetta scende  nuovamente, sprofonda nella crema. Miriam annega. Quando la plastica  dura le sfiora le labbra asciutte, allora piange. Le viene anche da vomitare,  ma quel corpicino vuoto non potrebbe rigettare altro che fotografie di  dolore, attimi inconsci, solitudine. Miriam posa la forchetta. 

Chiara porge a Sara un post-it con un numero di telefono: “Ha aiutato anche  me. Non sarà facile”.  

La mamma si guarda intorno e poi si guarda dentro: mille dubbi la  attraversano. Come è potuto accadere? Non mi sono accorta di nulla, non  ho visto, non ho sentito? Ho forse trascurato mia figlia? Ho negato? Che  madre sono? 

“Non è colpa sua, non è colpa vostra”, parole semplici che interrompono il  nero vortice del flusso di coscienza. Sara si alza e si avvicina alla figlia.  Solleva la forchetta e la spezza in due. Un crack che segna l’inizio di una  nuova vita. La bambina sorride e la mamma la abbraccia forte. 

Oggi Miriam si nutre con un tubicino lungo e trasparente. La madre si  prende cura di lei con tutto l’amore di cui è capace. Non saranno mai  perfette, ma combattono.  

Dopotutto Miriam ha ancora una rivincita in sospeso con la sua amica Nicole,  ha ancora una sfida in sospeso con la vita.