di Virginia Calvanico, VB scientifico
Recensione consegnata in questa forma nell’ambito del concorso “David Giovani”.
Un inno all’amore, non visto solo come passione ma come qualcosa di più profondo: un’affinità di anime. È questo che Alessandro e Arturo provano l’uno per l’altro, ed è anche quello che Annamaria prova per Alessandro, o ancora è quello che Annamaria prova per i suoi figli e che finiscono per provare anche i due protagonisti per i due bambini. Alessandro e Arturo si incaricano di occuparsi di Martina e Sandro per un breve periodo durante la malattia di Annamaria, ma dopo la loro rottura credono di non esserne più in grado e ,d’accordo con la madre, li mandano a vivere con la nonna; il loro piccolo nucleo familiare verrà poi ricostruito quando al funerale di Annamaria la coppia decide di rapire i due bambini e di tenerli con sè. Il film offre quindi anche una riflessione sul concetto di famiglia, dal momento che quella di Martina e Sandro non comprende solo la madre Annamaria, ma anche Alessandro e Arturo, così come anche tutti i loro amici e vicini. L’amore più è libero da definizioni più è limpido e puro: è questo il messaggio che trasmette questo film. Alessandro e Arturo sono una coppia da ormai quindici anni, tra loro sembra essersi spenta qualsiasi forma di complicità, tanto che i tradimenti reciprochi non mancano ed è proprio a causa di questi che la coppia entra in crisi. Nel frattempo Annamaria, ex compagna di Alessandro, già malata e in ospedale, muore. Spinta dalla necessità, prima di lasciarli Annamaria decide di affidare i due bambini alla madre, con la quale ha rotto i rapporti ormai da tempo a causa della natura cattiva e talvolta violenta della vecchia. La nonna non si mostra al di sopra delle aspettative, per questo Arturo ed Alessandro decidono di rapire i due bambini e di portarli via con loro. Durante la fuga i due protagonisti si fermano una notte lungo la costa. Qui ha luogo una scena dal pesante carico emotivo e piena di significato; “Guarda fisso il volto di una persona che ami,poi chiudi gli occhi e subito riaprili, così che l’immagine, come fotografata, scenda fino al cuore”, è questo il rituale della dea fortuna dal quale prende nome il film e che i quattro personaggi compiono all’alba a bagno nel mare. In questa scena i due bambini raccontano alla coppia, ormai riavvicinata, che il rituale era stato insegnato loro dalla madre ed aveva come scopo quello di tenere sempre vicino a sé le persone amate. Compiono poi questo rituale nei confronti di Alessandro e Arturo palesando quindi l’amore che provano nei loro confronti. Altra tematica presentata dal film è quella del valore della sorte, della fortuna, del destino. È evidente quanto per Ferzan Ozpetek, regista del film, la sorte rivesta un ruolo fondamentele nella vita di ognuno: ciò che ci capita, la gente che incontriamo, definiscono inequivocabilmente la nostra persona e la nostra vita. La sorte alla quale si riferisce Ferzan è un’imprevedibile combinarsi di variabili; tuttavia la sorte non viene presentata come forza incontrastabile, viene al contrario data importanza al modo in cui si reagisce agli eventi del fato. Legato a questa tematica è soprattutto il personaggio di Annamaria, una sorta di emissario del destino, è lei infatti che lasciando i suoi figli ad Alessandro ed Arturo durante il suo soggiorno in ospedale, riesce a riavvicinarli tramite l’amore che entrambi finiscono per provare per i due bambini; quando poi Annamaria muore i rapporti tra i due protagonisti si fanno tesi, fino ad arrivare al punto di rottura. Nonostante questo l’amore che hanno in comune per i due bambini finisce per riunirli. La morale è quella del “carpe diem” Oraziano: cogliere l’attimo, essere in grado di vedere le opportunità nascoste dietro ogni evento, ogni incontro, perché è dietro quelle che si trova la nostra felicità. La sceneggiatura del film è molto ben riuscita, in particolare trovo interessante come Ozpetek spesso coinvolga oggetti o presenti avvenimenti apparentemente non essenziali ma che nascondono un significato molto profondo; Inoltre i paesaggi in cui vengono ambientate le diverse vicende sembrano rispecchiare gli stati d’animo dei personaggi, riuscendo in questo modo a coinvolgere in misura maggiore lo spettatore, che viene catturato dall’intensità della scena. Allo stesso modo la colonna sonora “luna diamante” di Mina e Ivano Fossati accompagna degnamente le intenzioni e quindi il messaggio del film, che arriva più diretto e con più facilità. Nella colonna sonora è anche incluso il brano “che vita meravigliosa” di Diodato, che ha avuto, a merito, la candidatura per la migliore canzone originale. Per quanto riguarda il cast la scelta mi è sembrata ben pensata, in particolare quella riguardante Jasmine Trinca nei panni di Annamaria.