Un quadro clinico dell’Italia attraverso le elezioni
di Andrea Maurin
E’ passato poco più di un mese dalle elezioni, la massima espressione della volontà dei cittadini. Ecco un’approfondita analisi e una messa a nudo di tutte le problematiche della scena politica attuale.
Volendo rielaborare un’antica e fortunata metafora, se lo Stato fosse un corpo umano, le elezioni sarebbero l’apparato circolatorio. In effetti esse ossigenano il dibattito pubblico di idee e proposte, raggiungono con manifesti e volantini persino le cellule più periferiche della società, coagulano masse intorno ai leader durante i comizi e pompano milioni di elettori ai seggi a compiere il proprio dovere civico, chi per entusiasmo (pochi), chi per protesta (molti) e chi per abitudine (moltissimi). In tal senso, i risultati delle elezioni possono essere guardati come le analisi del sangue: indicando i valori delle varie componenti politiche ci fanno capire qual è la dieta mediatica dell’elettorato (ovvero quali informazioni “consumiamo” abitualmente) e quali sono i bisogni prioritari della comunità nazionale. Venendo dunque alle ultime elezioni del 25 settembre, proviamo ad analizzare alcuni dati utili per comprendere lo stato di salute della nostra democrazia.
La malattia silenziosa: l’astensione.
Innanzitutto partiamo dal primo problema: il crescente astensionismo, ovvero il progressivo ma inesorabile aumento di persone che scelgono di non esprimere il proprio voto. Alle ultime elezioni infatti, su 46 milioni di aventi diritto di voto, ben 17 milioni non si sono recati alle urne, circa il 36%, mai così tanti dalla nascita della Repubblica. Tuttavia, munendoci di microscopio, notiamo come l’astensionismo in realtà non sia omogeneo nel Paese: se nel Centro-Nord si attesta intorno al 30%, al Sud invece sale vertiginosamente, avvicinandosi al 50%, come nel caso del comune di Napoli, in cui a votare è andato meno di un elettore su due, precisamente il 49,7%. Numeri preoccupanti, che dimostrano come una quantità sempre maggiore di cittadini non si senta rappresentata dall’offerta politica attuale, poiché è ritenuta incapace di dare soluzioni adeguate per chi vive situazioni di disagio, soprattutto al Meridione. Solitamente, per liquidare la questione, si dice che gli astenuti hanno preferito restare a casa, ma siamo sicuri che sia così? A volte a ostacolare la partecipazione al voto sono le stesse regole elettorali: sono infatti circa 5 milioni gli elettori fuori sede, spesso impossibilitati a tornare nel proprio comune di residenza poiché troppo distante. Sebbene la stragrande maggioranza dei partiti si sia detta favorevole a porre una soluzione al problema, nella scorsa legislatura non sono stati in grado di modificare la legge in tal senso e ora che sono passate le elezioni la questione sembra non interessare più a nessuno.
Donne: la vitamina D di una politica dalle ossa fragili
Queste ultime elezioni però sono state importanti anche perché per la prima volta una donna è stata chiamata a guidare il governo. A fronte di questa svolta storica, bisogna tuttavia segnalare un altro dato allarmante: per la prima volta in 20 anni la percentuale di donne elette in Parlamento invece di aumentare è calata, dal 35% delle scorse elezioni al 31%. Si tratta di una disparità penalizzante non solo per le donne, drasticamente sottorappresentate, ma anche per tutta la politica, bisognosa della visione e della competenza femminile, soprattutto in tema di disuguaglianze di genere. Ma com’è possibile questo calo se la legge obbliga i partiti ad alternare nelle liste i candidati uomini con le loro colleghe, in modo che esse non vengano messe in posizioni sfavorevoli? Tutto si spiega grazie a un altro aspetto previsto dalla legge elettorale, le cosiddette pluricandidature. Poiché, infatti, nella porzione di seggi eletta proporzionalmente i candidati delle varie liste possono presentarsi in più circoscrizioni, spesso i partiti hanno candidato le donne in prima posizione in più circoscrizioni, permettendo da un lato che esse fossero sicuramente elette, ma dall’altro che in tutte le circoscrizioni lasciate libere da una candidata già eletta altrove scattasse il seggio per tutti gli uomini candidati in seconda posizione. Una mossa subdola, se calcolata, o comunque ingenuamente dannosa, se non prevista, che testimonia in ogni caso i grandi passi ancora da compiere per garantire alle donne un equo accesso alla politica.
Realtà locali: un’epidemia di paracadutati
Inoltre, un ulteriore aspetto su cui dobbiamo fare attenzione è la distanza, sempre più marcata, che si crea tra elettori ed eletti. Negli ultimi decenni infatti si è invertito il processo di selezione dei candidati: invece che lasciare spazio a politici cresciuti dal basso, ovvero dalla propria realtà locale, spesso i partiti impongono ai territori figure calate dall’alto e candidate in posti considerati sicuri per il proprio partito, solo perché essi hanno dimostrato maggiore lealtà al leader di turno o godono di maggiore prestigio. È il caso di Piero Fassino, ex-sindaco di Torino, eletto alla Camera nella circoscrizione del Veneto, o di Maria Elisabetta Alberti Casellati, ex-presidente del Senato nata a Rovigo, candidata in un seggio blindato in Basilicata. Purtroppo la lista dei “paracadutati” (così chiamati poiché entrano in Parlamento “paracadutandosi” in una regione d’Italia qualsiasi con la quale non hanno legami personali, ma che è perfettamente idonea ad essere soggetta ad un’astuta campagna elettorale ) è ancora molto lunga e ci fa capire che non è più l’eccezione, ma la regola.
La cura possibile
Per finire, se volessimo fare un bilancio, potremmo notare una perdita di fiducia del popolo nel potere del proprio voto, testimoniata dall’astensione, un grido muto contro una politica che sembra non ascoltare, spesso vista come una casta autoreferenziale. Inoltre, ad aumentare la distanza tra istituzioni e cittadini contribuiscono anche la scarsa valorizzazione delle donne da parte dei partiti, come anche degli esponenti del territorio, spesso più conosciuti e magari stimati dall’elettorato. Di fronte a tutto ciò è dunque ancor più necessario ricordare a noi stessi e a chi ci governa le parole dell’articolo 3 della nostra Costituzione:
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»