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Nunca màs el silencio. Mai più il silenzio.

Di Elettra Faenza, redazione


Lo scorso 11 Febbraio abbiamo avuto l’onore di assistere nell’aula magna del Liceo Franchetti ad una conferenza di Vera Jarach, una delle madri di Plaza de Mayo, che alla veneranda età di 95 anni ci ha raccontato la sua storia e di sua figlia Franca.

Il coraggio e l’amore di una figlia

Era il 25 giugno 1976 quando Franca Jarach, figlia appena diciottenne di Vera e Giorgio Jarach, scomparve nel nulla.

Foto di Franca Jarach
Franca Jarach

Franca era una studentessa brillante, attiva nella sua scuola: prendeva parte ai movimenti studenteschi, partecipava a iniziative per cambiare un sistema scolastico repressivo, favorevole al regime dittatoriale argentino di Jorge Rafael Videla. Era spinta da forti ideali di libertà, dalla sua forza combattiva, e non le mancavano umorismo e coraggio, tutte caratteristiche che mantenne fino alla fine.  

Marta Alvarez, superstite dei campi di concentramento del regime, dirà infatti a Vera che, fino all’ultimo momento, “Franca estaba entera”, era intera, era rimasta sé stessa, aveva mantenuto la sua personalità e in una occasione le aveva addirittura detto scherzosamente: “qui non ho bisogno di fare diete dimagranti con quel poco che ci danno da mangiare”.

Marta confesserà che i detenuti non avevano paura poiché non sospettavano minimamente la fine tragica a cui sarebbero andati incontro.

Poco tempo prima del sequestro, Franca si unì al movimento studentesco “UES” (Unión de Estudiantes Secundarios), che si opponeva al regime. Vera e suo marito, consapevoli del rischio che la loro figlia stava correndo, le consigliarono più volte di tornare in Italia, dove loro due poi l’avrebbero raggiunta, ma ognuna di queste volte la ragazza aveva rifiutato, preferendo restare a Buenos Aires. 

Venerdì 25 giugno 1976, mentre si trovava nel bar Exedra, Franca scomparve

Quindici giorni dopo gli Jarach ricevettero una telefonata da parte della figlia, a cui rispose il padre. Lui, come al solito, usò l’italiano per parlarle, ma lei lo interruppe dicendogli che i carcerieri le avevano ordinato di parlare in spagnolo. Franca disse loro di stare bene e di essere detenuta presso Seguridad de la Coordinación Federal, ma in realtà si trovava nella ESMA. Li invitò a stare tranquilli, in quanto le davano da mangiare e le medicine in caso di malattia. Infine gli disse che chi la deteneva li avrebbe avvertiti non appena avessero potuto andare a prenderla e avrebbe indicato loro anche come raggiungerla. La telefonata diede sollievo ai genitori, che solo molto tempo dopo capirono che si trattava in realtà di un diversivo dei militari per prendere tempo, poiché anche altri genitori di desaparecidos avevano ricevuto telefonate simili.

La detenzione di Franca durò qualche settimana: a metà luglio, pochi giorni dopo aver parlato con i genitori, Franca fu vittima di un “volo della morte“, ovvero una pratica che prevedeva di gettare in mare vivi e sotto l’effetto di droghe i “dissidenti politici” da appositi aerei o elicotteri militari. Questo venne organizzato perché nello stesso mese furono condotti all’ESMA moltissimi giovani e le celle iniziavano a scarseggiare. I militari decisero così di uccidere dei prigionieri per fare posto ai nuovi arrivati.

A Vera, quindi, non rimase neanche la speranza di riavere i resti di sua figlia.

Il coraggio e l’amore di una madre

Foto di Vera Vigevani Jarach
Vera Vigevani Jarach

«Mi chiamo Vera Vigevani Jarach e ho due storie: io sono un’ebrea italiana e sono arrivata in Argentina nel 1939 per le leggi razziali; mio nonno è rimasto ed è finito deportato ad Auschwitz. Non c’è tomba.
Dopo molti anni, altro luogo, in Argentina, altra storia: mia figlia diciottenne viene sequestrata, portata in un campo di concentramento e viene uccisa con i voli della morte.
Non c’è tomba.
Queste due storie indicano un destino comune e fanno di me una testimone e una militante della memoria.
»

Ma Vera Jarach decise di non soccombere al dolore.

Le madri dei desaparecidos si recavano frequentemente in Plaza de Mayo, di fronte alla Casa Rosada, cercando notizie riguardo ai figli. Inizialmente andavano lì individualmente, successivamente, però, come forma di protesta nei confronti del silenzio del governo, cominciarono a recarsi alla piazza in gruppo

Il 30 aprile 1977 le madri di Plaza de Mayo, sfilarono per la prima volta attorno ad una statua collocata al centro della piazza. La pratica si ripeterà ogni giovedì pomeriggio dalle 15:30 alle 16:00.

La marcia delle madri nel 1981. Archivo General de la Nación Argentina
La marcia delle madri nel 1981 – Archivo General de la Nación Argentina

 

Tramite l’associazione cominciò a incrinarsi il muro di silenzio che si era creato intorno alla questione desaparecidos. In particolare durante i campionati mondiali di calcio del 1978, disputati in Argentina, le madri ebbero per la prima volta la possibilità di farsi notare e ascoltare.

Dal 1986, anno della divisione dell’associazione, Vera Vigevani è esponente della “Línea Fundadora“, una delle due fazioni delle Madres de Plaza de Mayo. Le madri della “linea” , differentemente dalle altre, hanno accettato il denaro che il presidente Raúl Ricardo Alfonsín ha dato loro come risarcimento per la perdita dei figli, che hanno utilizzato per le operazioni di recupero dei resti degli scomparsi. Tutte loro sono attualmente molto attive per mantenere la memoria e diffondere il ricordo attraverso le loro testimonianze, motivo per cui partecipano spesso a iniziative e incontri.

Si stima infatti che ci siano state più di 3000 vittime (2.095 morti e 1.102 “desaparecidos”) su 130.000 sequestri.

Il racconto di Vera Jarach non va ascoltato solamente perché tragico, perché commovente, ma perché è la storia di migliaia di persone che non si sono fatte sottomettere dal regime, nonostante esso le avesse private non solo dei parenti, bensì anche delle risposte, costringendole al silenzio ed all’impotenza.

Oggi, come allora, Il loro motto è: “Nunca màs el silencio”

Mai più il silenzio.

 

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