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QUANDO SI APRE IL SIPARIO

di Vittoria Dominici, VC classico

Ricordo la prima volta in cui ho desiderato recitare su un palcoscenico.

Era l’estate della mia terza media, un’estate in cui non avevo niente da fare se non sognare.

In televisione davano un documentario che parlava della vita dell’attrice Anna Magnani, che oltre ad aver svolto ruoli in film come Roma città aperta¹, La rosa tatuata², Mamma Roma³, recitò anche nel mondo del teatro.

Ricordo che passai buona parte di quella notte fantasticando su quello che avevo visto; nella mia immaginazione mi trovavo al centro di un palco, con la luce puntata addosso, nel silenzio della platea cantavo le note di un dramma che nemmeno esisteva.

Per qualche giorno ho pensato a quello che avevo desiderato vedendo la Magnani in quel documentario; poi, come mi capita sempre, ho cominciato a pensare che alla fine non sarebbe successo niente, e quel sogno di una notte o poco più sarebbe rimasto sempre e solo un sogno.

Quando ho cominciato il liceo, però, qualcosa è successo.

Non è passato molto tempo che ho scoperto dell’esistenza di un corso di teatro  di tre ore settimanali, che sommate a tutte le novità di quel primo mese di scuola mi facevano un po’ paura, ma ho deciso di iscrivermi lo stesso.

Non so esprimere a pieno quello che provo oggi, al mio secondo anno di teatro, ma non rimpiango per nulla di aver cominciato questo percorso perché, per citare Federico Garcia Lorca, il teatro è poesia che esce da un libro per farsi umana.

Gruppo teatrale del Bruno-Franchetti durante lo spettacolo dello scorso anno Mors

Sotto la guida del regista Alessandro Maggi ci siamo messi in gioco, abbiamo riso, riflettuto, ci siamo domandati mille volte come migliorare la resa di una battuta; quelle tre ore sono sempre passate veloci, troppo veloci e, ora che anche il mio secondo anno nella compagnia teatrale del Bruno-Franchetti sta per concludersi, prevedo la sensazione di vuoto che arriverà quando l’ultima luce puntata sul palco si sarà spenta e gli applausi arriveranno. Quando ci saluteremo e diremo “all’anno prossimo”, sapremo che l’estate sarà lunga e che questi mesi senza teatro sembreranno – almeno a me – eterni.

Lo spettacolo che abbiamo preparato quest’anno, e che porteremo in scena il 29 maggio al Teatro Momo di Mestre per la rassegna Piccoli Palcoscenici, s’intitola “Rinvio a giudizio”, adattamento dal Processo a Giulio Cesare, una delle tre opere presenti nel libro “Il sangue e il potere” di Corrado Augias e Vladimiro Polchi.

Ad un primo impatto quella che appare sul palco è una classe di ragazzi scapestrati e maleducati, ognuno di loro fa qualcosa che non dovrebbe fare mentre l’insegnate è assente: c’è chi fa volare areoplanini di carta addosso agli altri, chi prende in giro un’appassionata di storia, chi con aria indifferente ascolta la musica, costruendo un muro attorno a sé.

Tutto cambia, però, quando una ragazza, fino ad allora rimasta in disparte, agisce e cambia il corso degli eventi. Da questo momento l’anarchia che regnava nella classe fino a pochi attimi prima viene interrotta da un atto di violenza, un gesto folle e prevaricatore, e a partire dai ragazzi prende avvio un processo a una delle figure più importanti della storia classica: Gaio Giulio Cesare.

Ma non dirò di più: è implicito l’invito a venire a vedere lo spettacolo, mercoledì 29 maggio alle ore 21.00.

Perché una sera decidere di andare a teatro? Perché quando lo spettacolo comincia non si può evitare di rimanere rapiti dalla magia del teatro, che nell’allegoria del palco parla della vita, poiché – come disse William Shakespeare – tutto il mondo è teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori.

Perché il teatro è così importante per me? Quando recito, sia sul palco, sia nelle aule del nostro istituto, in cui proviamo, sento un irrefrenabile senso di libertà e pace e identificazione con il personaggio che devo essere facendomi dimenticare per un po’ tutto quello che mi preoccupa, dall’interrogazione del giorno dopo a problemi ben più seri.

Inoltre è impagabile la sensazione che si prova trovandosi sul palco, con la luce addosso e la platea buia di fronte, impagabile assaporare ogni istante, ogni respiro, ogni battito del proprio cuore, dopo che la paura di dimenticare la parte, o cominciare a ridere quando non si deve, ci ha abbandonati.

Non amo tutto ciò per il desiderio di successo; piuttosto mi affascina come quel momento che tanto hai atteso, il momento di esibirti, svanisca in un attimo, man mano che la tensione defluisce e la mente si rilassa; cominci a divertirti pienamente; la luce si spegne: arrivano gli applausi.

In un attimo è finito, ma quello che è stato rimane per sempre.

NOTE

¹ Roberto Rossellini, 1945

² Daniel Mann, 1955

³ Pier Paolo Pasolini, 1962