Le prime pagine dei media nazionali ed internazionali riportano i terribili avvenimenti in Ucraina e Palestina. Esiste però un fatto altrettanto grave a cui non è mai stato dato alcun risalto: è la tragica condizione del popolo Saharawi, costretto a vivere nei campi profughi, privato della propria terra da ormai 47 anni. Eppure, nonostante questa drammatica situazione, c’è chi con determinazione e impegno è riuscito ad uscirne.
Prima però di parlare di colui che è riuscito a compiere questa impresa, è doveroso approfondire un aspetto fondamentale per questa vicenda, ossia:
Chi sono i Saharawi?
Popolazione di origine arabo-berbera, si stanziarono nella costa Nord-occidentale dell’Africa a partire dal VII sec d.C. Da allora, si trovarono sottomessi a diversi stati tra cui la Spagna, dal 1884 al 1976. Fu proprio in quest’anno che ebbe inizio uno dei momenti più cupi, che continua ancora ad oggi, della storia dei Saharawi perché, dopo che la Spagna lasciò il territorio, il Marocco e la Mauritania (quest’ultima però si è ritirata nel 1979) invasero il Sahara Occidentale, costringendo alla fuga coloro che vivevano lì. Migliaia di donne e bambini si ritrovarono a dover cercare rifugio nei paesi confinanti come l’Algeria, che tutt’oggi li ospita, mentre gli uomini, guidati dal fronte polisario -movimento militare e politico nato nel 1973 per ottenere all’autodeterminazione del popolo Saharawi- combattevano per poter rimanere nella propria terra di origine anche se con scarsi risultati.
Per questo, ancora oggi, i Saharawi si trovano a dover vivere nei campi profughi all’interno di tende e capanne costruite con mattoni di sabbia che si sciolgono ad ogni rovescio.

Le donne sono l’epicentro di questa nuova società che si sono trovati costretti ad istituire: esse amministrano e gestiscono i campi per cercare di dare una vita migliore ai propri figli, purtroppo spesso afflitti da alcuni problemi fisiologici difficilmente curabili lì come i calcoli renali. Sperano ancora che un giorno potranno riavere la propria casa, nonostante ora ci sia un’enorme bariera artificiale che li divide. Infatti Il governo marocchino ha edificato un muro lungo 2700 metri e alto 3, rinforzato da soldati e campi minati, che si estende lungo i territorio del Sahara Occidentale, delimitando il confine tra le zone riconquistate dal fronte polisario (solo un terzo del totale) e quelle ancora sotto il controllo del Marocco.

In tutto questo, ci si domanda,
Dov’è l’ONU?
Esso tentò più volte di proporre delle risoluzioni che avessero come scopo ultimo un referendum per determinare a chi dare il governo ma queste proposte furono sempre rifiutate dal Marocco. Ad oggi le cose non stanno migliorando, tant’ è che Donald Trump, nel 2020, ha riconosciuto la sovranità del governo marocchino sul Sahara occidentale.
Questa situazione, tragica e troppo poco conosciuta, sembrerebbe rendere i Saharawi un popolo svantaggiato e con limitate prospettive future. Ma non per forza deve essere così. Ciò lo dimostra sicuramente la storia di uno di loro, che, per rispetto, chiamerò Nuena.
Nuena nacque nel 1982, otto anni dopo la fuga del popolo Saharawi, nel campo profughi di El Amada, lontano dalla sorella, rimasta nel Sahara Occidentale poiché, quando iniziarono i bombardamenti, la loro madre, per salvare gli altri due fratelli maggiori di Nuena, dovette fuggire senza di lei, e lontano anche dalla sua terra d’origine. Terra che, ad oggi, non ha mai visto con i suoi occhi.
Nuena crebbe lì, nel campo profughi, con gli altri bambini giocando con ciò che riuscivano a trovare. Ogni settembre lasciava il suo campo profughi e la famiglia per andare a studiare in un collegio ad Algeri tornando in modo permanente solo alla fine del periodo di studi annuale. Fu durante proprio la pausa estiva, quando Nuena aveva solo 11 anni, che, grazie ad un’associazione umanitaria, riuscì a venire in Italia per la prima volta, più precisamente a Roma. Giunto nella nostra capitale per ricevere cure mediche, rimase colpito da ciò che vide: i fiori variopinti, gli arbusti verdi, i monumenti e la bicicletta. Questo viaggio lo resero così tanto entusiasta che prese una decisione: da grande sarebbe venuto a vivere in Italia.
Ma com’è possibile uscire dal campo profughi non avendo soldi?
L’unico modo che gli venne in mente fu studiare, attività odiata e disprezzata da milioni di ragazzi che vivono in condizioni agiate e con un tetto fatto di tegole sopra la testa. Non sarebbe, però, bastato fare i compiti assegnati, fare il minimo essenziale ed ottenere buoni voti. No. Avrebbe dovuto ottenere ottimi voti, diventare il migliore della classe, del suo istituto e di tutti gli studenti del suo anno per poter ottenere una borsa di studio per trasferirsi in Italia e continuari gli studi all’università. E Nuena lo voleva con tutto se stesso.
Così iniziò a impegnarsi tantissimo ed ottenere ottimi risultati scolastici. Sua madre era la sua più grande alleata: ogni anno metteva da parte dei soldi per potergli comprare quaderni e libri, oggetti presenti in tutte le nostre case e ritenuti scontati.
Dopo tutto questo impegno, le sue fatiche furono ripagate: l’11 settembre del 2001, dopo aver superato a pieni voti la maturità scientifica, a Nueva fu assegnata una borsa di studio per andare a studiare in Italia. Ce l’aveva fatta.
Ci vollero due anni prima che gli fosse dato il visto per venire in Italia. Giunto qui, iniziò un corso intensivo per imparare la lingua per poi iniziare i veri propri studi all’università, aiutato dall’associazione El Ouali che sostiene la liberazione dei territori del Sahara Occidentale ancora occupati dal governo marocchino.
Dopo la laurea, le difficoltà non finirono: ci volle tempo per inserirsi nel mondo del lavoro, accaddero alcuni eventi naturali disastrosi ma soprattutto Nuena non aveva ancora la cittadinanza. Ci vollero quasi 20 anni prima che gli venisse concessa, tempo in cui nel frattempo si costruì una famiglia. Ad oggi però Nuena è a tutti gli effetti un cittadino italiano e vive felicemente qui in Italia con la sua famiglia.
Le foto presenti in questo articolo sono state pubblicate su gentile concessione di Giulia Bignardi, autrice delle stesse, tutti i diritti sono riservati all’autrice.