di Sveva De Crescenzo 2Ccl
Noi giovani siamo troppo liberi?
O siamo solo noi stessi?
La mia generazione rispecchia un racconto d’amore smodato cucito nel centro di un Vangelo: ovvero qualcosa forse fuori dal comune- e dico ‘forse’ per una ragione- in una società che colora all’interno dei bordi, e che, quando scrive, va a capo lasciando uno spazio vuoto alla fine della pagina, invece di scrivere la parola intera sfiorando, seppur di poco, il bordo del foglio.
I miei genitori, e ancora di più i miei nonni, hanno vissuto in un’epoca di standardizzazione, legati ai ruoli sociali di ogni individuo. L’uomo, se studiava, si doveva attenere a facoltà scientifiche, perché ‘più virili’ e adatte a garantire un lavoro ben pagato al fine di mantenere la sua futura famiglia. La donna, invece, non aveva bisogno di studiare, dal momento che il suo ruolo sarebbe stato quello di occuparsi della casa: lavorare, cucinare, scegliere i fiori adatti al centrotavola e così via… attività appropriate al genere femminile, per nulla in grado di sostenere un lavoro dotato di un impatto sociale e politico. E se voleva studiare, era bene che non si cimentasse in facoltà troppo complicate e che si attenesse a quelle umanistiche (non affatto complesse? Io non ne sarei così sicura). I ruoli di ogni individuo erano quindi già segnati, e già apposti su ognuno; non c’era spazio per scegliere.
Il dado era già stato tratto.
Ne deriva, di conseguenza, una visione limitata della vita e delle sue possibilità, al cui interno tutto quello che sfiora l’originalità è considerato eresia.
Perché la loro eresia è anche paura.
La paura di contrastare la via più sicura e di seguire, invece, quella non ancora cementata, sfigurata da dossi e tombini rotti, cosparsa di vetri taglienti e ceneri.
Quindi, ciò che fa la mia generazione non è fuori dal comune, ma solo un passo troppo grande per la società di due generazioni precedenti.
È la loro mancata libertà.
Quella nel mezzo è riuscita, in parte, a scampare dalle regole già stabilite, ma ne mostra ancora i segni sulla pelle. È ancora ricolma di pregiudizi, provenienti in realtà non da loro stessi, ma da quello che si sentivano dire da giovani, dalle paure introiettate da quelli che venivano prima di loro. Sebbene questa generazione abbia fatto dei progressi, non limitandosi a intraprendere la strada più sicura, è ancora timorosa, oserei dire traumatizzata. Perciò ha lasciato alla prole una rabbia repressa da tempo, proveniente dalla voglia di cambiare le cose, mischiata a un potenziale sprecato di ciò che avrebbe desiderato veramente fare.
Per un’antica società per cui tutto è etichettato e catalogato per nome e giudizio, la mia generazione vive propriamente nell’età dell’oro: si distacca completamente dalle precedenti catalogazioni, rivendicando l’espressione individuale. Prova in ogni caso paura, perché ci vuole coraggio a scegliere la strada più complessa, ma agisce per vivere in un mondo migliore.
L’onore e il disonore, termini e concetti piuttosto vicini ai nostri genitori o nonni, valgono non per l’individuo, ma per la collettività: non si presta attenzione alla facoltà di studi che ognuno vuole intraprendere, designandolo onorevole o disonorevole, perché non è su quello che si basa il proprio valore. Se invece un individuo si muove contro il bene della collettività, comportandosi egoisticamente, gli è attribuito un titolo di disonore. È bene seguire le proprie passioni, e cavalcare le proprie inclinazioni, ma solo quando non recano danno ad altri.
Direi che il titolo di disonorevole oppure di onorevole viene ormai attribuito soltanto in ambito politico e sociale. Perciò, è lecito fare ciò che si vuole, partendo dall’idea di base che un’inclinazione non è un’etichetta che determina ognuno, ma solo una libera espressione di se stessi, che non va giudicata. E se ciò succede, chi giudica diviene quello giudicato dalla collettività. Negare un diritto umano a un soggetto è diverso dal negargli un piacere individuale, quello della libera espressione. Se un uomo sceglie di studiare lettere, ha tutto il diritto di farlo. Se, invece, vuole imporre la propria superiorità su un altro individuo, è giusto che non sia stimato.
In questa generazione non siamo ‘troppo’ liberi.
Siamo tutti uguali e liberi di essere.
Siamo ciò che prima non si poteva essere.
In fondo, colorare fuori dai bordi non è poi così male.